LA TRACCIA – Un pensiero per domenica
Domenica 28 gennaio – 4° del Tempo Ordinario (anno B)
PAROLE CHE LIBERANO
(Mc 1, 21-28)
La peggior situazione della vita umana è quella simile all’acqua stagnante, o al brodo indifferenziato a cui per altro ci si abitua velocemente. Nella stagnazione ti nascondi, rinunci alla tua identità perché ne puoi avere di molteplici, in base all’opportunità del momento o in relazione a ciò che ti può essere più comodo. La stagnazione permette di racimolare qui e là gesti e parole senza mai prendere qualcosa davvero sul serio, spegnendo le altezze del desiderio e producendo mediocrità.
C’è un atteggiamento mafioso che ha bisogno di questo terreno stagnante per poter prolificare, uccidendo poco per volta la tensione dell’uomo verso ciò che lo rende libero, capace di una vita degna del suo futuro e responsabile nei confronti della società di cui è parte.
Forse è proprio questa stagnazione accidiosa, supportata dalla mormorazione e da forme sistematiche di cinismo, a rappresentare un male insidioso, che senza particolari eccessi violenti soffoca il cuore, mortifica lo slancio, intristisce l’esercizio quotidiano del vivere, alleandosi spesso ad una generica religiosità sacrale, pesante, asfissiante, che nulla ha da spartire con la freschezza e l’autorevolezza del vangelo.
La presenza di Gesù, prima ancora delle sue parole, smuove le acque, dà fastidio, rivela i cuori, produce discernimento. Certo, come succede per l’indemoniato, questa liberazione è in qualche modo costretta a passare attraverso la forma di una lotta faticosa, di un grido straziante, di un riversamento all’esterno di tutto ciò che fino a quel momento imprigionava e mortificava. Ma anche in questo modo il venirci incontro di Gesù è un avvenimento di liberazione, di promessa per la vita. Non siamo fatti per marcire in uno stagno anonimo, in cui prolificano serpenti e risentimenti, e dunque dovremmo sempre ringraziare se, di fronte alla parola evangelica, abbiamo ancora il coraggio di farci smuovere, di non rimanere come prima, anche se questo ci costa fatica e può anche farci un po’ soffrire. E’ più semplice stare invischiati nella brodaglia di presunte sicurezze, senza mai fidarsi del nuovo e diffidando di ogni più piccolo rimescolamento dell’acqua. Ma vorrebbe dire rinunciare alla nostra stessa umanità, alla possibilità di riconoscere ogni giorno, passo dopo passo, ciò che ci soffoca e non ci fa del bene.
“Taci, esci da lui”: quella di Gesù è una parola forte, autorevole, senza mezze misure, non facile, perché rimette in movimento la libertà. Ed è evidente che il Maligno, per moltiplicare la sua violenza nascosta, preferisce che il nostro cuore rimanga schiavo di un dio scuro, pesante, o anche dell’idolo dell’onnipotenza senza limiti; non sopporta la trasparenza e il rimescolamento delle acque, perché verrebbe allo scoperto in tutta la sua pochezza e assurdità.
Eppure basta che per un istante decidiamo di fidarci di una parola come quella di Gesù e tutto inizia a volgersi in un’altra direzione, già solo per il fatto che il male viene alla luce, magari gridando, ma in questo modo è già sconfitto, perché uscendo lascia il cuore libero di ritrovare quella dignità, quegli affetti buoni, quella responsabilità verso di sé e verso gli altri per cui è stato creato fin dall’inizio e che nemmeno la più oscura malvagità può cancellare.
Dio ci liberi dalla stagnazione, per riappassionarci da capo all’acqua che scorre, a parole trasparenti, certamente più impegnative, ma alla fine davvero liberanti.