LA TRACCIA – Un pensiero per domenica
Domenica 7 luglio – 14° del Tempo Ordinario (anno C)
LO STILE DELLA CHIESA IN QUATTRO PAROLE
( Lc 10, 1-12.17-20)
Se la verità non è una formula matematica sempre fissa e uguale a se stessa, se non è un concetto astratto, ma un evento, un incontro, una relazione viva tra libertà, allora la questione dello stile si fa decisiva: non basta annunciare genericamente il vangelo, senza mai chiedersi il senso delle parole e dei gesti che si utilizzano, o ritenendo che l’interlocutore non sia da prendere in conto. Ecco perché Gesù istruisce i discepoli circa una missione che si rivelerà adeguata prima di tutto a riguardo dello stile che assumerà in mezzo ai luoghi comuni dell’umanità di tutti.
Il “sogno” del Signore sulla sua Chiesa è articolabile in quattro parole, o meglio in quattro atteggiamenti, o stili fondamentali di vita.
La fraternità: i discepoli vengono mandati “a due a due”, perché non si crede da soli, né si è credibili da soli, ma soltanto nell’esercizio continuo, sorgivo, originario della fraternità. E’ necessario, prima di ogni altra cosa, imparare l’arte di saper lavorare e camminare insieme, senza avere timore di un confronto adulto, coraggioso, schietto, trasparente.
La saggezza evangelica: ai discepoli viene indicato di non portare né borse, né sandali per il viaggio, affinché non cadano nella tentazione di appoggi mondani, diversi dalla promessa evangelica. Essere saggi significa non essere appesantiti e riconoscere con scioltezza che determinate cose o argomenti sono diventati secondari. E’ necessario non perdere tempo dietro a ciò che è sterile e non ha futuro, per dedicare invece passione, accoglienza, saluto, approfondimento a tutto ciò che di fecondo e inatteso sta nascendo davanti ai nostri occhi. Paolo lo dice in modo netto ai Galati: lasciatemi in pace con queste discussioni aride e camminiamo con coraggio alla luce della libertà di Gesù, senza tornare indietro!
La diversità: vivere la testimonianza cristiana oggi, significa non avere timore della diversità, che vuol dire accettare con libertà e senza rancore i diversi atteggiamenti dell’altro, che può non accogliere l’annuncio. Anzi, fa parte della notizia evangelica stessa la possibilità reale di non accoglierne la novità, o di aprirsi ad essa in modi o cammini molto diversi rispetto a ciò che ci si aspetterebbe. Quanta grandezza d’animo ci vuole per leggere la realtà in questo modo!
La fragilità: ai discepoli viene ricordato che la vera gioia non sta nel risultato immediato e a portata di mano, ma nella gratitudine per i nomi che sono scritti nel cielo. E’ un’immagine molto forte, per ricordare che la Chiesa è profetica non quando è potente e vittoriosa, fosse anche per il bene, ma quando manifesta la fragilità non come problema ma come una benedizione, non come una minaccia ma come principio di umanizzazione.
Se vogliamo ancora essere profetici e lasciare che il Vangelo torni a parlare in modo nuovo e promettente all’uomo di oggi, credo che dobbiamo esercitarci, come Chiesa, su queste quattro parole di stile: fraternità, per non essere autoritari e infantili; saggezza, per non smarrire ciò che nella vita di ogni uomo tiene davvero in piedi; diversità, per non diventare complici di violenze, di chiusure e di conformismi; fragilità, per continuare a testimoniare che solo nel legame con l’altro si può ricostruire con un po’ di giustizia il nostro vivere insieme.
Questa è la fiducia che sorge dal vangelo, nella speranza che la Chiesa, mandata da Gesù in mezzo agli uomini, non se ne dimentichi mai!