LA TRACCIA – Un pensiero per domenica
Domenica 22 aprile – Quarta del Tempo di Pasqua (anno B)
IL POTERE DEL RISORTO
(Gv 10, 11-18)
Nel nostro gergo quotidiano, il termine “potere” ha in genere un significato dispregiativo, anche se poi diventa facilmente oggetto di desiderio: mania di potere, scalare i luoghi del potere, esercitare un potere sugli altri, servirsi del potere per primeggiare.
In realtà la figura originaria del potere non è immediatamente negativa: è il potere di muoversi, di vivere, è il potere che permette di prendersi cura degli altri, di lavorare la terra, di migliorare il mondo. E’ il potere di assumersi una responsabilità, di generare qualcosa di nuovo, senza rimanere passivi nei confronti della vita. Certo, basta un attimo per sovvertire la bontà del potere, trasformandolo in violenza, opportunismo, prevaricazione.
In ogni caso, però, invece di fare di tutta l’erba un fascio, bisognerebbe innanzitutto ricordarsi che fino a quando qualcuno, invece di starsene tranquillo in poltrona, si assume un compito di guida a favore di altri, il mondo va avanti e può ancora essere vivibile.
Gesù, infatti, non si limita a rinunciare al potere, ma fa molto di più: lo vive in modo nuovo, trasparente, trasformandolo dall’interno. E’ così “padrone” della vita da dedicarla fino in fondo per amore. Nessuno gliela può rubare, perché è lui, di sua iniziativa, a volerla consegnare senza misura.
Sia il buon pastore che il mercenario esercitano un potere, ma tra loro due c’è un abisso. Il primo, più asciutto e più burbero, volendo il bene del gregge, guida le pecore con trasparenza, incoraggiando quando è ora e rimproverando quando è necessario. Il pastore buono vive il suo compito suscitando relazioni libere, adulte, non viscide o doppie; allarga, non stringe il recinto soddisfacendo un puro bisogno di sicurezza, ma accende confronti, crea inclusione, smuove le acque stagnanti. Tutto questo può anche dare fastidio, ma quando il potere è esercitato così, è esperienza comune che alla fine ci si può davvero fidare.
Il mercenario al contrario, malato di narcisismo, è preoccupato esclusivamente di se stesso. Solo in apparenza ha potere, ma in realtà è debole: scende a ogni tipo di compromesso pur di non perdere consensi, preferisce le acque torbide di legami immaturi per non dover uscire allo scoperto. E così, invece di essere guida, si ritrova schiavo e lascia nella confusione le pecore che pure intendeva guidare.
Quanto è liberante il potere del Risorto, il potere del pastore buono! Trasparenza, nessuna doppiezza; dedicazione della vita, nessun bieco opportunismo; nessuno stile saccente di chi ritiene di sapere tutto, ma saggezza nell’imparare da ciò che ancora non si sa.
Il vero potente è colui che è così padrone della sua vita da rinunciare a tenerla per sé, consegnandola senza misura, con libertà, per il bene dell’altro. Di questo potere, e di nessun altro, abbiamo bisogno per vivere.