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La traccia domenica 8 Marzo

Domenica 8 marzo – 2° di Quaresima (anno A)

DIO SA ACCAREZZARE

(Mt 17, 1-9)

Ci sono tempi in cui dare fiducia richiede una presenza forte, mani che sanno scrollare di dosso le paure, afferrare con decisione chi sta affogando, o rischia di cadere nella tristezza. Ci sono però anche momenti che possono essere attraversati grazie ad uno stile più sobrio, ma non per questo meno capace di infondere coraggio. E’ ciò che fa Gesù con i suoi discepoli: dopo aver annunciato loro la sua imminente passione, generando sconcerto e smarrimento, non li lascia soli, neppure li strattona in modo violento per toglierli in fretta dal torpore in cui sono caduti. Sceglie invece la strada dell’accompagnamento delicato, attento, non alla maniera di uno spintone, ma più simile a quella di una carezza.

Porta i discepoli in disparte, su un monte. Questo è il primo gesto di cura, limpido nella sua forza di umanità: quando si tratta di affrontare una crisi non si può rimanere nel chiasso assordante, ma è necessario fermarsi e fare di quel silenzio un luogo di parole vere, di relazioni feconde. Pietro può ritrovare il suo posto, può dire liberamente la sua, mentre lo stesso Gesù ospita i discepoli, e noi insieme a loro, nel suo dialogo fecondo con Mosè ed Elia. Nel frastuono tutto questo non è possibile: chi ci vuole bene ci invita a rielaborare le nostre fatiche prendendoci da parte, dandoci tempo e restituendoci la dignità di veri interlocutori.

Non solo, ma sul monte i discepoli vengono circondati dalla nube: è la “carezza” di Dio, che non si fa strada con luce abbagliante, impossibile da sostenere allo sguardo, ma avvolgendo e custodendo, perché alla fine, quando siamo smarriti, è di questo che abbiamo bisogno per poter continuare il cammino.

Ma il gesto più sconcertante di Gesù è l’ultimo: tocca i discepoli dicendo loro di alzarsi, di non temere, di non avere paura. Non dà risposte, non offre certezze che chiudono e risolvono, ma il suo tocco, come la nube e come il silenzio del monte, è in grado di accarezzare, invitando a proseguire, riaprendo ancora una volta una strada che sembrava chiusa, impossibile da attraversare.

Nel tocco di Gesù si manifesta così la presenza di un Dio che sa accarezzare, portando in disparte, avvolgendo, consegnando forza per rialzarsi e rielaborare le paure. Ogni altro gesto invadente, troppo violento, sarebbe stato controproducente. Avrebbe forse illuso i discepoli con una magia, ma facendoli ripiombare per l’ennesima volta nello smarrimento non appena ritornati ai piedi della montagna. E invece no: quando si accarezza, si accompagna, si rimette in piedi l’altro senza sostituirsi alla sua responsabilità, allora non c’è davvero più nulla da temere. Continueranno ad esserci sempre i deserti da affrontare, le paure per ciò che non possiamo in alcun modo prevedere o controllare, ma una mano che tocca così, che accarezza così, che ci prende sul serio in questo modo, oggi come allora può diventare per tutti risorsa di fiducia e di umanità. E ben sappiamo di quanto ne abbiamo bisogno in questi tempi, imparando anche dalle crisi a saper meglio percepire quali sono attorno a noi le vere carezze che non ci illudono, ma ci accompagnano nella vita senza secondi fini.

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