Domenica 4 agosto – 18° del Tempo Ordinario (anno C)
MOLLARE LA PRESA
(Qo 1,2; 2, 21-23 – Lc 12, 13-21)
Se ti aggrappi alle cose e agli altri in modo ossessivo, quasi idolatrico, senza più mollare la presa, soffochi tu e diventi soffocante. Dove c’è Narciso, che accumula per sé e tutto vuole controllare, non cresce più l’erba, non c’è più spazio di respiro, non esiste più un agire fecondo, che genera vita.
Fin dall’inizio è su questo punto che sta o cade l’umanizzazione dell’uomo: Caino, che vuol dire “acquistato” e che cerca di acquisire ogni cosa per sé, uccide Abele, il cui nome richiama il soffio e l’aria, certamente realtà fragili, delicate, ma anche piene di ossigeno per i polmoni. L’omicidio è prodotto dall’invidia, il cui motore è la cupidigia: se ci sono altri, pensa Caino, e per giunta fragili e bisognosi, io sono finito, devo dividere con loro la mia vita e il mio potere e diventerei un nulla! Meglio essere soli e tenere tutto per sé.
Ma vivere così è umano? La Scrittura ci manifesta a più riprese il vicolo cieco in cui ci si immette, senza più uscirvi. Il libro del Qoelet tenta una cura formidabile: utilizzando lo stesso termine del nome Abele, riflettendo sulla vita reale giunge alla conclusione che tutto è vanità, cioè “soffio”. Ogni cosa passa come il vento e solo riconoscendola come un dono ne potrai gustare la bontà e la preziosità, mentre la perderesti se la trasformassi in un possedimento da controllare in modo egoistico.
Se ti disponi così nei confronti della vita è più facile che tu riesca a ripartire dal basso, dalle più piccole e semplici esperienze, dalla cura dei gesti più comuni, degli affetti che ti tengono in vita. Perché se non avessi questo puoi anche decidere di demolire più volte i tuoi granai per costruirne altri sempre più grandi, ma alla fine che cosa resterebbe della tua umanità? Come si potrebbe vivere con l’illusione di aver acquistato chissà quale potere, che l’esistenza puntualmente smussa e ridimensiona di continuo, mentre, direbbe Qoelet alcuni versi più avanti, ti stai perdendo il gusto del pane condiviso a tavola, il cuore allietato dal vino e dalla festa, la gioia proveniente dalle persone che ami e che ti vogliono bene?
Mollare la presa vuol dire guarire dalla cupidigia, non lasciare a lei l’ultima mortifera parola, tornare ad essere fecondi, a toccare la verità del mondo tramite la cura degli affetti più comuni. Dio è così amante della vita da avere un unico desiderio: che tu possa ritrovare come un dono, per te e a favore di tutti, ciò che inesorabilmente perderesti, a detrimento tuo e di tutti, ogni qual volta continuassi a trattare ogni cosa come un possesso geloso.