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La Traccia Domenica 19 Maggio

Domenica 19 maggio – 5° del Tempo di Pasqua (anno C)

LA BENEDIZIONE DEL FRATELLO

(Gv 13, 31-35)

Quando Giuda si alza da tavola e si allontana nel cuore della notte, sembra che tutto vada incontro al fallimento. Eppure è proprio in quel momento che Gesù riconosce la sua “glorificazione”, che non ha nulla da spartire con la vittoria mondana o con l’imporsi violento di sé nei confronti degli altri. Mentre Giuda se ne va – e viene lasciato andare nella sua libertà – il Maestro annuncia a sua volta l’imminente partenza, permettendo così che il segno massimo e insuperabile della sua presenza permanente tra noi sia l’amore, il comando di prendersi cura, con responsabilità, gli uni degli altri.

In Gesù non c’è traccia di presenzialismo, non ci sono spazi da occupare, ma solo il desiderio struggente che, nonostante il fallimento di Giuda, i suoi discepoli continuino a credere e a lavorare per la fraternità. Solo invocando l’amore come un dono è possibile riconoscere il fratello come una benedizione, anche quando il rapporto con lui è difficile o addirittura impossibile. In ogni caso, il faticoso lavoro della fraternità porta in sé, fin dall’origine, una promessa che ci permette di non essere soli, di smussare e correggere le nostre piccole o grandi onnipotenze, o l’idea di essere autosufficienti o di bastare a noi stessi.

Senza la presenza e il confronto spesso drammatico con il fratello non si crescerebbe mai e come Giuda non si riuscirebbe neppure a stare a tavola con gli altri fino alla fine del pasto.

La glorificazione di Gesù coincide con la sua vita data per noi. Ed è a partire da questo amore, del tutto immeritato e rispetto al quale siamo sempre in debito, che il cammino laborioso del nostro amore fraterno può ricominciare sempre, oltre ogni suo più buio fallimento.

E’ una grande notizia, quella che si fa strada durante l’ultima cena! Si può edificare insieme una città in cui abitare, ci si può ancora prendere cura gli uni degli altri, si possono tessere e ritessere relazioni che diventano palestra di affetti buoni, di apertura dialogica, di confronto maturo e non aggressivo.

E ogni volta che questo avviene, la presenza silenziosa, non invadente, del Signore Risorto è in mezzo a noi, affinché nel quotidiano impegno di umanizzazione non ci sentiamo orfani, ma sostenuti e accompagnati da un amore che ci precede, che ha camminato fino in fondo e che proprio per questo non ci lascerà più.

                      

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