Domenica 7 aprile – 5° di Quaresima (anno C)
RIPARTIRE DALLA TERRA
(Gv 8, 1-11)
La logica del sospetto e della condanna è l’unica possibile? Per poco che si riesca ancora a rimanere umani, ci si rende conto che non è così. Nessuno di noi, infatti, può essere soltanto identificato con il male che ha commesso, per quanto scandaloso ed efferato. Non solo, ma proprio la pura logica del giudizio spietato sembra moltiplicare il risentimento, piuttosto che arginarlo e risolverlo.
Gesù blocca questo dispositivo perverso, chinandosi a terra e scrivendo con le dita nella polvere. Tanto per la donna, quanto per i suoi aguzzini, si apre così qualcosa di nuovo, impensabile fino a quel momento: una sospensione, un indietreggiamento che rivela un’altra possibilità, un altro modo di essere. Questo gesto del Figlio di Dio risulta più potente di ogni suo precedente miracolo, più forte delle sue stesse parabole, in grado di convocare fino in fondo la libera responsabilità di tutti i presenti. Qui irrompe, in un solo istante, la misericordia come giustizia, il riscatto come salvezza reale dal male, il perdono come smascheramento della perversione insita nella vendetta e nel risentimento.
Eppure, che questo sia accolto oppure no, dipende sempre dalla libertà di chi avrebbe potuto comunque scagliare quelle pietre; e noi che leggiamo possiamo sentire il peso di quel silenzio, l’imprevedibilità del discernimento che sta avvenendo nel cuore di chi assiste alla scena.
E tutto ciò accade tramite un gesto che rimette il nostro sguardo a livello del terreno: per sottrarsi alla logica della condanna occorre tornare alla terra, senza ergersi troppo in fretta al di sopra di essa, per sentire l’altro e riconoscerlo come parte della medesima umanità, ascoltandolo e incontrandolo nella sua storia singolare, senza essere mossi da pregiudizi o ideologie. Significa chinarsi, raccogliersi, ripartire dal basso, entrare con delicatezza nella vicenda reale di chi si ha di fronte, evitando le semplificazioni dovute al riferimento generico ad una legge universale.
Allora non c’è più posto per parole che diventano pietre, ma solo per uno spazio lasciato libero affinché ciascuno possa riprendere in mano la propria vita, ricominciare, risorgere, cambiare. Il testo evangelico dell’adultera ha avuto una storia molto travagliata; solo alla fine e con difficoltà viene accolto nella redazione finale del quarto vangelo, a testimonianza di come la chiesa stessa sia stata spiazzata dallo stile singolarissimo di Gesù. Probabilmente già le prime comunità ebbero la tentazione di regredire alle pietre, piuttosto che aprirsi alla novità della misericordia del Padre. Ponendo questo episodio come autocritica, la chiesa delle origini ha saputo consegnarci questo fondamentale criterio: solo maturando questo cambio di prospettiva la comunità cristiana diventa la chiesa del suo Signore, la chiesa del Risorto. Solo così essa rimane nel solco e nello stile della tradizione evangelica.
Invece di puntare il dito dall’alto, o di cedere al gioco pericoloso delle ideologie e delle contrapposizioni, il contributo umanizzante della testimonianza cristiana è possibile se riparte dalla terra, dall’afflizione dei fratelli, dal loro volto concreto, per creare consolazione, fiducia, coraggio, possibilità autentica di riscatto, capacità di affrontare in modo saggio tutto ciò che riguarda l’uomo e la sua esistenza, lasciandoci ancora oggi incantare dal gesto di Gesù che si china e scrive nella polvere. A favore di tutti!