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La Traccia Domenica 10 Giugno

LA TRACCIA – Un pensiero per domenica

Domenica 10 giugno – 10° del Tempo Ordinario (anno B)
TRASGREDIRE
(Mc 3, 20-35)

Il termine “trasgredire” proviene da una radice latina che significa “proseguire oltre”, o anche “camminare in avanti”. Non è riferibile soltanto a chi, in senso negativo, non segue le regole, ma dovrebbe essere meglio compreso come sinonimo di nascita, di maturazione, di libertà responsabile. Trasgredire è la capacità di non rimanere fermi, lasciandosi cambiare con coraggio dalla vita che si vive. Vuol dire non essere soffocati dai legami d’origine, o dai ruoli che assumiamo. Trasgredire è l’esercizio tramite cui si matura una posizione personale sulle cose che succedono, imparando ad allargare il proprio sguardo rispetto alle stanze chiuse a cui ci costringe la paura della novità.
Agli occhi della gente e dei suoi stessi famigliari, Gesù è trasgressivo, è fuori di sé, fino ad essere ritenuto un indemoniato. Questa volta, però, è lui stesso che prende l’iniziativa: chiama gli scribi per chiarire, per rendere trasparente ogni cosa, per rivelare che la vera forma del male non è la semplice trasgressione di una legge, ma è non fare nulla, rimanendo chiusi e accidiosi, mortificando con parole imbruttite le cose belle, i passi in avanti, pur di non essere disturbati nella tranquillità della propria stagnazione.
Ancora una volta Gesù è il Signore perché non cede a questo ricatto. Si rivolta, alza la voce, non permette che il suo più alto desiderio, quello di raccontare con la propria vita la paternità di Dio per ogni uomo, sia squalificato, chiamato con un altro nome, spento sotto i colpi del controllo ossessivo degli scribi e del paternalismo soffocante dei famigliari. Gesù non cede a chi, con enfasi populista, vorrebbe trasformarlo in un soprammobile sacro, o peggio ancora in una macchina che soddisfa bisogni di ogni genere. Rilancia, trasgredisce, cammina oltre, creando spazi di apertura e di responsabilità, di impegno e di lucidità nel rimanere svegli e disponibili all’agire creativo dello Spirito.
Possiamo soltanto intuire da lontano la solitudine che deve aver provato in quel momento. Forse solo sua madre, lì presente, è stata in grado di coglierla. Ci è più chiara, invece, la sua incrollabile fiducia, per la quale ha saputo trasformare quell’incomprensione in un nuovo atto generativo, quando i suoi occhi, più forti del fallimento, sono tornati a posarsi su chi, seduto attorno, sta ascoltando e si sta aprendo alla novità del vangelo.
Essere discepoli, dunque, significa trasgredire, camminare oltre e avanti, metterci la faccia, a costo dell’incomprensione e della solitudine. Meno male, Signore, che quel giorno non sei stato in silenzio, ma hai smosso le acque stagnanti! Non dovremmo smettere mai di ringraziarti per la tua “trasgressione”, che ha permesso di chiamare finalmente tutte le cose con il loro nome, fin dalla creazione del mondo: la chiusura come la peggiore mortificazione, la capacità di aprirsi e di andare oltre come il tesoro prezioso in grado di resistere ad ogni delusione.

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