LA TRACCIA – Un pensiero per domenica
Domenica 3 giugno – Solennità del Corpo e Sangue del Signore (anno B)
VIVERE INSIEME
(Mc 14, 12-16.22-26)
Da duemila anni i cristiani, nel giorno del Signore, si radunano per fare memoria della morte e risurrezione di Gesù. Si fermano, smettono le attività, ascoltano la Parola, spezzano il pane, cercano di edificare una fraternità, a servizio della città comune.
E’ in questo modo che il gesto di Gesù durante l’ultima cena si è tramandato nel corso del tempo, quasi come un tatuaggio indelebile, impossibile da addomesticare a proprio piacimento.
Anche qualora ce ne fossimo dimenticati, anche qualora una lunga tradizione ci avesse abituati a partecipare alla tavola eucaristica in modo passivo, distaccato, individuale, ogni volta che lasciamo dischiudere davanti a noi il senso vero dell’Eucaristia, siamo costretti a lasciarci provocare dal tesoro prezioso della fraternità che da essa scaturisce.
Lo stesso Gesù chiede ai discepoli di preparare una stanza per la cena e così dono e responsabilità si intrecciano: lui non tradisce, perché ha donato se stesso, ma se noi non ci siamo, se manca la disposizione a vivere insieme, a superare l’idolatria del puro interesse personale, non facciamo corpo con lui, non diventiamo il suo corpo.
In un tempo in cui si manifesta chiaramente che ciascuno tende a pensare a sé e coglie sempre meno il suo originario legame con gli altri, dovremmo farci reincantare dal gesto dell’Eucaristia domenicale, perché diventi non una magia, né un vuoto cerimoniale, ma una stanza da preparare con cura, un’esperienza concreta in grado di forgiare il desiderio troppo appannato di una reale socialità, imparando sempre a rinunciare a qualcosa di sé per arricchire e custodire la possibilità di vivere insieme.
Muoviamoci, lasciamo che la nostra vita assuma il gusto del pane di Gesù, lasciando da parte le visioni troppo ristrette, i campanilismi di corto respiro, le chiusure che nascono dalla diffidenza. Non possiamo permetterci di lasciare a queste cose l’ultima parola sulla nostra vita; siamo degni e capaci di molto di più, e ogni domenica l’Eucaristia ce lo ricorda.
Al termine della cena con Gesù, i discepoli escono cantando e ringraziando, pur vivendo un momento difficile, drammatico, per loro incomprensibile. Forse, il segreto del gesto eucaristico è proprio questo: riconoscere, a partire da Gesù, che nonostante tutto si può continuare a lavorare per una vita comune, credendoci fino in fondo, a tal punto da cantare di gioia ogni volta che anche solo una piccola stanza, un piccolo angolo della nostra vita, continua con tenacia ad essere apparecchiato per ospitare altri.
E se questo darà fastidio, o farà nascere invidie, è necessario non cadere nel tranello! Si tratta di continuare, ogni domenica, a lasciare che il gesto di Gesù manifesti tutta la sua apertura, tutto il suo spessore umano. Non importa se non tutti saranno seduti a quella tavola. Molti hanno deciso di non parteciparvi, altri sono stati allontanati con imprudenza, altri ancora non ne conosceranno mai l’esistenza, ma ogni volta che tu a quella mensa partecipi e ti lasci cambiare, lo fai anche per loro, senza altro fine che non sia la custodia di ciò che ci rende umani, di ciò che possiamo condividere a servizio della costruzione di una città comune.