LA TRACCIA – Un pensiero per domenica
Domenica 29 aprile – 5° del Tempo Ordinario (anno B)
UN TAGLIO BENEFICO
(Gv. 15, 1-8)
Venendo al mondo subiamo il taglio del cordone ombelicale. La nascita è un taglio traumatico rispetto alla precedente fusione con il grembo materno. E per tutta la vita il cammino verso l’età adulta è scandito da tanti momenti di taglio, di perdita, di sfoltimento, in cui discernere ciò che deve essere tenuto e ciò che deve essere lasciato.
Chi vuole tutto, rimarrebbe un “bimbo capriccioso”, senza crescere mai, e pensare di potersi ingigantire all’infinito senza tagli produce illusione, oltre che sterilità e solitudine. Lo sa bene l’agricoltore: una pianta che non viene curata attraverso la potatura può anche crescere rigogliosa, ma non porta frutto. Lo sa altrettanto bene il vignaiolo: la vite “piange” quando viene potata, ma solo così l’uva sarà di qualità.
Agli occhi di Gesù, attento ai più piccoli dettagli della natura e dei gesti dell’uomo che la custodisce con l’opera delle sue mani, il Padre non può che essere come un saggio agricoltore, come un esperto vignaiolo, che possiede il garbo necessario per il taglio della potatura, perché non sia sbagliato, ma sia a favore della pianta e del suo frutto abbondante.
E’ un gesto delicatissimo: basta un attimo per rovinare tutto e non si può tornare indietro. Riusciamo a immaginarci Dio così? Nell’atto di potare con cura, pieno di fremito e di sudore, nel desiderio che la pianta possa dare il meglio di sé?
Certo, se l’esperienza del taglio, del lasciare, fosse ritenuta soltanto un’emorragia mortale, sarebbe vissuta come una minaccia, diventerebbe di continuo un motivo di risentimento. Se invece, rimanendo fin dall’inizio nella fiducia che il vangelo è capace di suscitare, la si può riconoscere come una potatura benefica, da cui imparare e ripartire, allora si diventa uomini, superando il narcisismo egoistico che ci fa gonfiare fino a scoppiare, che non mette freni fino a sentirsi schiacciati sotto il proprio peso divenuto insopportabile.
Facciamo memoria del taglio della nascita e così impareremo a non avere paura di lasciare ciò che appesantisce, di esercitarci nel non volere sempre tutto, di darci un taglio per fare spazio agli altri, non a parole, ma con i fatti e nella verità. Impareremo la benefica potatura delle relazioni, che chiedono sempre reciproco ridimensionamento, smussamento degli angoli, sfoltimento di egoismi più o meno nascosti.
Il taglio che fa vivere non è mai una sottrazione, ma è sempre in vista della moltiplicazione dei frutti. E che le mani di Dio siano come quelle di un agricoltore che sa potare con saggezza è una gran bella notizia di umanità, in un mondo in cui il buon senso del limite sembra affievolirsi.
Se siamo ancora disposti a lasciarci “potare” dalla vita, siamo ancora umani e si rinasce, come nel primo taglio, quello del cordone, quando una mano forte ci ha sottratti alla dipendenza del grembo materno, non certo per farci del male, ma perché potessimo iniziare a respirare da soli, a chiedere il cibo come un dono, per incamminarci verso il riconoscimento adulto della nostra identità.